Molliamo la musica, facciamo i Thegiornalisti!

Posted on 29 settembre 2011

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Thegiornalisti (foto di Achille Filipponi)

Non scherziamo! Comunque, una cosa alla volta.

La storia che nel Bel Paese non si riesca (musicalmente) a fare niente di buono, non mi ha mai convinta, anzi. È sufficiente non essere pigri, drizzare l’orecchio (anche due), affidarsi a chi riesce a orientarsi in un sottobosco più o meno fitto di realtà di ogni genere, da chi si rifà alla lezione di Tenco a chi trasforma la matrice dei Sonic Youth, per scoprire come esistano innumerevoli microcosmi che di valore ne hanno eccome. E che, se proposti a un pubblico tutt’altro che disinteressato, riescono a far breccia oltre i circuiti locali.

Dei Thegiornalisti non avevo mai sentito parlare prima di trovarmi il disco sulla scrivania, anche perché Tommaso Paradiso e soci il progetto lo hanno iniziato appena un paio di anni fa. Quando lo chiamo, il cantante e chitarrista è appena uscito da un non ben identificato seminterrato per arrivare alla vineria di un amico e, col suo accento romano (loro sono prataroli doc), mi racconta un po’ cosa combinano.

Ascoltando Vol. 1 si percepisce subito una dose notevole non solo di passione, ma anche di competenza alle spalle dei quattro, entrambe qualità troppo spesso sottovalutate. “Ognuno di noi ha avuto esperienze diverse. Il bassista suona da quasi un anno con noi ma non ha registrato l’album, dove era il chitarrista a suonare le parti di basso. Io ho suonato per otto anni con un altro gruppo di Roma, fino a che non ho avuto un po’ di problemi artistici con loro… stavamo andando verso due direzioni opposte. Invece, noi Thegiornalisti eravamo amici da tempo, parlavamo di come fossimo un po’ scoraggiati da molte cose. Sicché una sera ci siamo trovati e abbiamo tirato su in pochissimo tempo questo gruppo: in un mese abbiamo scritto le canzoni e le abbiamo registrate subito! Il risultato? Una liberazione, è stato un po’ catartico per noi, un album che ci ha aiutato molto a livello personale”.

In poche parole, se un ascoltatore mediamente attento può percepire si tratti di un disco genuino, fatto di buona musica schietta e ben suonata, qui si parla addirittura di catarsi. “Eravamo emozionatissimi quando lo suonavamo perché volevamo quasi abbandonare la musica, tant’è che il batterista Marco ha tirato fuori questo giochetto dicendo: chiamiamoci pure Thegiornalisti, tanto la musica ci sta dando solo delusioni, meglio lasciarla e fare i giornalisti! Insomma è stata un po’ una presa in giro”.

Thegiornalisti (foto di Achille Filipponi)Tra i versi (rigorosamente in italiano) della band romana si parla infatti della realtà intorno e di sentimenti declinati in varie sfumature, dove l’ironia fa da collante, un dono raro in un settore dove esser contagiati dal virus del prendersi troppo sul serio è facile. “L’ironia è il dono di chi ama la vita!”, precisa Tommaso. “L’autore sono io e i testi vengono insieme alla musica, naturalmente, non ho mai separato le due cose. Mi piace ad esempio usare delle parole che si ripetono con significati diversi, come in Siamo tutti marziani, dove la parola traccia è usata con tre significati. Ho studiato filosofia all’Università e ho cercato di metterci un pizzichino di quello che ho imparato e che può far riflettere, bypassandolo con la musica. Ci sono dei testi che cercano magari di esprimere concetti un po’ più profondi come Autostrade umane, ma per il resto ho un modo di scrivere molto netto. Testualmente non ho riferimenti e l’ironia di cui parlavi è proprio alla base del mio credo di tutti i giorni”.

Ci sono anche delle immagini che colpiscono molto, del tipo le emozioni entrano ed escono come pallottole nella pelle, gli faccio notare. “Ho scritto il testo di quella canzone dopo una puntata di Anno Zero dove fecero un servizio sui giovani leghisti xenofobi, i quali fecero un party dove si vedeva un manifesto con un indiano e scritte quali questa è casa mia, casa dei miei nonni. Ho parlato un po’ in generale delle emozioni di ognuno di noi che non vengono considerate, entrano ed escono e ci fanno male, ma dagli altri non sono prese in considerazione, così come la musica. A volte c’è da soffrire un po’…”.

Tutto questo è incollato in un disco che fa della commistione di generi un altro suo punto di forza. Ad esempio Una canzone per Joss ricorda il beat ma ci sono anche chitarre ruvide molto garage, stili diversi combinati in un modo originale. “La costante come dici tu per noi è sempre stata il beat anni 60, a me piace anche la musica di oggi. Se parliamo di influenze la musica attuale è imparagonabile a quello che hai ascoltato per tutta la vita. Diciamo che l’asse Lennon-McCartney è fondamentale: tutto il mondo ama i Beatles ma pezzi di Lennon, soprattutto dagli anni ’70 in poi, sono incredibili, quelli che ha scritto con Yoko Ono”. E non finisce qui. “Sia io che Marco usiamo chitarre e amplificatori di quell’epoca lì. Non siamo dei feticisti, è perché suonano meglio, sono strumenti fatti a mano e non per imitare qualcosa!”.

Ricapitolando, le basi ci sono tutte e, mentre le sto passando in rassegna, iniziamo a parlare di musica, del primo stravagante Celentano e dell’ultimo disco di Dente, e io mi auguro solo che esca presto il secondo capitolo. E che sulla scrivania di sorprese così ne piombino altre.

Da ascoltare (qualcosa lo si trova qui):
Autostrade umane, Siamo tutti marziani, E allora viva!

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